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PROVINCE: ECCO COME CAMBIA L’ITALIA

I DIPENDENTI. Che fine faranno i dipendenti delle province? “Nell’immediato – ha detto il ministro della Pubblica amministrazione Filippo Patroni Griffi – non ci sarà una contrazione del personale, ma ci potrebbe essere uno spostamento fisico. Naturalmente i criteri di quest’operazione andranno studiati con un esame congiunto insieme ai sindacati”.

SISTEMA ELETTORALE. Un’altra modifica riguarderà anche il nuovo sistema elettorale, con i consiglieri eletti non più dai cittadini ma dai consiglieri comunali. Un meccanismo sul quale si attende a giorni la pronuncia della Corte costituzionale.

EMILIA ROMAGNA. Oggi l’aula dell’assemblea legislativa dell’Emilia Romagna voterà oggi il riordino delle Province, per ratificare la proposta di giunta già approvata a maggioranza (astenuti Pdl, Lega nord, Movimento 5 stelle e Udc) dalla commissione Affari, generali e istituzionali. In Emilia Romagna le Province passeranno da 9 a 4. Nello specifico, il riassetto prevede che dall’accorpamento delle 3 attuali province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini nasca un’unica ‘Provincia di Romagna’; le province di Reggio Emilia e Modena verranno accorpate nella ‘Provincia di Reggio Emilia e Modena’, come pure le attuali province di Parma e Piacenza, che daranno vita a un nuovo e unico ente. Nessun cambiamento, al contrario, è previsto per la Provincia di Ferrara, dal momento che rientra nei parametri di popolazione e di territorio previsti dalle norme del Governo. Un percorso a parte è quello della Provincia di Bologna, che verrà abolita di fronte alla futura Bologna città metropolitana.

PUGLIA, IL RIORDINO E’ UN REBUS. In Puglia è un rebus il riordino delle Province. Oggi si riunisce il Consiglio regionale per la discussione di ordini del giorno presentati sull’argomento. C’è stata una retromarcia in quanto inizialmente si era deciso di non decidere. La Giunta regionale si era spogliata della decisione invitando il Consiglio a farlo ma la commissione Affari Costituzionali aveva deciso di non impegnare l’Assise su questa materia e di inviare, invece, tutti gli atti al Governo. C’è stata una presa di posizione sia delle forze politiche, in maniera trasversale, sia dai territori. Non piace, infatti, la geografia della Puglia ridisegnata dalla spending review. Infatti spariscono quattro Province: quella di Bari si trasforma in Città Metropolitana mentre mancano dei requisiti di legge quelle di Barletta-Andria-Trani, Brindisi e Taranto. Rimangono quindi solo le province di Foggia (che ingloberebbe la BAT a meno che i Comuni non vogliano far parte della Città Metropolitana di Bari), Lecce (ingloberebbe Brindisi e Taranto) e la Città Metropolitana di Bari. Molti Comuni non sanno se restare dove sono o spostarsi di provincia. In effetti la confusione è tanta perché ci sono spinte di diverso tenore. I Comuni della Bat vogliono rimanere autonomi dalla Città Metropolitana di Bari. Anche un Comune della provincia di Bari, Bitonto, ha deciso per ora di non aderire al nuovo organismo. Viceversa, in una città del Brindisino, Fasano, si è tenuto un referendum popolare consultivo in cui prevale il sì per aderire alla Città metropolitana mentre viene bocciata l’ipotesi della Brindisi-Taranto.

Decreto sulle Province agli ultimi ritocchi: passeranno da 86 a 50

La nuova cartina delle Province italiane è quasi pronta e verrà esaminata a novembre dal Consiglio dei ministri – Nelle regioni a Statuto ordinario il loro numero calerà di 36 unità, da 86 a 50 – Tagliate Benevento, Rovigo, Terni e Treviso – Patroni Griffi: “Nessuna contrazione del personale, ma spostamento”.

Siamo agli sgoccioli: ancora qualche settimana e la nuova cartina delle Province italiane verrà ultimata, pronta, a quel punto, per l’esame del primo Consiglio dei ministri di novermbre.

Il governo non farà sconti nè concessioni sulle numerose domande di deroga. Saranno, infatti, applicate alla lettera le indicazioni fissate dalla spending review: le Province la cui superficie è inferiore ai 2.500 chilometri quadrati, o che hanno meno di 350mila abitanti saranno incorporate da quelle vicine. Tra le province tagliate ce ne saranno anche alcune storiche, come Benevento e Rovigo e Terni, per finire con Treviso, troppo piccola di soli 23 chilometri quadrati.

Per quanto riguarda le regioni a Statuto ordinario, il numero delle Province passerà da 86 a 50, comprese le dieci Città metropolitane. Per rendere più lineare e spedito il percorso, tutte le Province, a partire da giugno 2013, saranno commissariate, favorendo così lo svolgimento di questa fase di transizione. Il ministro della Pubblica amministrazione Filippo Patroni Griffi ha commentato così la decisione: “Non possiamo pensare che una riforma importante come questa possa venir meno solo per delle resistenza localistiche”.

Uno dei problemi che i commissari, che molto probabilmente saranno i presidenti uscenti della provincia, per venire incontro alle richieste del territorio, sarà quello della gestione dei dipendenti dei vari enti legati alle provincie tagliate: “Nell’immediato – dice il ministro – non ci sarà una contrazione del personale ma ci potrebbe essere uno spostamento fisico. Naturalmente i criteri di quest’operazione andranno studiati con un esame congiunto insieme ai sindacati”.

Altro punto cruciale da affrontare sarà quello del nuovo sistema elettorale, mentre il ministro Patroni Griffi, che si dichiara ottimista sul cammino della procedura, apre anche il discorso sui Comuni: “sono 8mila, troppi, e la metà ha meno di 5mila abitanti”, specificando, però, che ad occuparsi della questione sarà “chi ci sarà nella prossima legislatura”.

 
Pronto il decreto: salve solo 23 Province

La mappa dei futuri capoluoghi è quasi pronta: con il primo Consiglio dei ministri di novembre l’ufficialità. Intanto, non mancano le decisioni contestate: bufera in Toscana e Lombardia, polemica in Umbria. Tutto come prima invece in Sicilia.

La nuova mappa delle Province italiane è quasi pronta: arriverà con un decreto legge all’esame del primo Consiglio dei ministri di novembre.

Sono stare respinte le tante richieste di deroga: verranno attuate senza sconti le regole fissate con la legge sulla spending review. Ad esempio – come riporta il Corriere della Sera – Benevento, che invocava la “storia del territorio sannita”, e Rovigo, che sottolineava la “peculiarità del Polesine” si devono arrendere. Rifiutata anche l’ultima proposta per ‘salvare’ Terni: il passaggio di alcuni comuni perugini al ternano.

Le Province con meno di 350 mila abitanti o una superficie inferiore ai 2.500 chilometri quadrati dovranno essere accorpate con quelle vicine. Considerando solo le Regioni a Statuto ordinario, le Province scenderanno da 86 a 50, comprese le dieci Città metropolitane. Quelle tagliate saranno trentasei.

A queste, si dovranno aggiungere almeno altre dieci ‘cancellazioni’ nelle regioni a statuto speciale che saranno decise dalle giunte regionali entro sei mesi di tempo.

PATRONI GRIFFI. Determinato il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffin, che sottolinea come i tagli “seppur dolorosi” sono indispensabili: “Non possiamo pensare che una riforma importante come questa possa venir meno solo per delle resistenze localistiche”.

L’ITER. Dalla fine di giugno del 2013 tutte le Province, anche quelle che non si vedranno toccare i confini, saranno guidate da un commissario. Toccherà a lui curare la transizione verso il nuovo regime. Resta da decidere solo se il commissario sarà esterno, nominato dal prefetto, o se il ruolo verrà affidato al presidente uscente della Provincia.

Città metropolitane – Torino, Genova, Milano, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Reggio Calabria

Province che restano Piemonte: Torino, Cuneo Lombardia: Milano, Brescia, Bergamo, Pavia Veneto: Venezia, Vicenza, Verona Liguria: Genova, La Spezia Emilia Romagna: Bologna, Ferrara Toscana: Firenze Marche: Ancona, Pesaro Urbino Lazio: Roma Campania: Napoli, Salerno, Caserta Puglia: Bari, Lecce Calabria: Reggio Calabria

Province accorpate Piemonte: Alessandria / Asti; Vercelli / Biella / Verbano Cusio Ossla / Novara Lombardia: Como / Varese / Monza Brianza; Lodi / Mantova /Cremona; Sondrio / Lecco Veneto: Rovigo / Padova; Belluno / Treviso Liguria: Savona / Imperia Emilia Romagna: Modena / Reggio Emilia; Parma / Piacenza; Ravenna / Forlì Cesena / Rimini Toscana: Grosseto /Siena / Arezzo; Lucca / Massa Carrara / Pistoia / Prato; Pisa / Livorno Umbria: Perugia / Terni Marche: Ascoli Piceno / Macerata / Fermo Lazio: Viterbo / Rieti; Latina / Frosinone Abruzzo: L’Aquila / Teramo; Pescara / Chieti Molise: Campobasso / Isernia Campania: Avellino / Benevento Puglia: Foggia / Bartella Andria Trani; Taranto / Brindisi Calabria: Cosenza / Crotone, Catanzaro, Vibo Valentia Basilicata: Potenza / Matera

 

2. Le Province si difendono con una guerra di cavilli. Entro domani le proposte di riordino

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Riordino con deroga per le province. La voglia di cancellare le amministrazioni che non rientrano nei parametri fissati dal Governo (2.500 chilometri quadrati e almeno 300mila abitanti) è poca e quasi tutte le regioni sono a caccia di scorciatoie. I giochi sono praticamente fatti. Entro domani le quindici amministrazioni regionali a statuto ordinario devono inviare a Palazzo Chigi le proposte di riorganizzazione del loro territorio. Dopodiché la palla passerà nelle mani dell’Esecutivo, che deve disegnare la nuova geografia.

Compito che si prospetta assai complicato, perché le ipotesi di riordino che stanno per arrivare sul tavolo di Palazzo Chigi hanno, in gran parte dei casi, cercato di aggirare i paletti fissati dal Governo. Solo l’Emilia Romagna e la Liguria hanno, infatti, definito una proposta che rispetta le indicazioni dell’Esecutivo. È pur vero che diverse amministrazioni decideranno all’ultimo momento, tra oggi e domani, ma la prospettiva appare ormai delineata: salvare il salvabile attraverso la richiesta di deroghe. La lista delle eccezioni da Nord a Sud è lunghissima. A conti fatti, più della metà delle regioni manderà – a meno di aggiustamenti dell’ultimo minuto – una proposta che non si attiene alle regole.

Il record delle deroghe richieste appartiene alla Lombardia. Qui, l’ipotesi presentata dal Cal già prevedeva tre eccezioni (Monza-Brianza, Sondrio e Mantova). Ma la giunta, con una delibera che sarà formalizzata oggi, chiederà di lasciare invariato l’attuale assetto, invocando, di fatto, otto deroghe per mantenere in vita le province fuori parametri. In attesa dell’esito del ricorso che la Lombardia ha presentato alla Corte costituzionale. Il fronte giuridico, però, finora non ha arriso alle amministrazioni, che si sono ritrovate sconfitte davanti al Tar. Nei giorni scorsi, infatti, il tribunale amministrativo del Lazio ha respinto la richiesta di sospensiva, avanzata da alcune province, della delibera con cui il Governo a fissato i criteri del riordino.

Insomma, le si tenta tutte perché niente cambi. Come in Veneto, che avrebbe dovuto cancellare quattro province – Rovigo, Belluno, Padova e Treviso – e invece alla fine si è deciso di mantenere gli attuali confini. Lasciando così la “patata bollente” al Governo. Una situazione che assomiglia a quella del Lazio. Dove anche la presidente Polverini ha deciso di impugnare davanti alla Consulta la norma che impone la riorganizzazione. E, per coerenza con questa scelta, non presenterà alcun piano di riassetto. La strada, d’altra parte, risulta obbligata: due grandi province – con l’accorpamento di Viterbo a Rieti e Latina a Frosinone – e la città metropolitana di Roma.

Magmatica la situazione pure in Toscana, dove le amministrazioni da tagliare erano addirittura nove, con il Cal che è faticosamente arrivato ad avanzare due ipotesi, le quali prevedono rispettivamente, quattro o cinque province più Firenze. Tutto però è rimandato alla decisione che il Consiglio prenderà oggi.

Per completare il quadro delle eccezioni restano altri cinque casi, dove le soluzioni individuate sono spesso fantasiose. La Basilicata chiede, in prima istanza, di lasciare tutto com’è oppure, in subordine, di formare la “provincia unica di Lucania”, con Matera capoluogo di provincia e Potenza capoluogo di regione. L’Umbria propone di trasferire alcuni comuni da Perugia a Terni. La Campania di salvare Benevento per ragioni storico-culturali. Il Molise di barattare la sopravvivenza di Isernia con una riforma degli enti sub-regionali. E le Marche sperano di mantenere Macerata, a cui mancano poche migliaia di abitanti rispetto a quanto chiesto dal Governo.
di Antonello Cherchi, Giuseppe Latour, Francesco Nariello

3. Pronto il decreto sulle nuove Province:36 soppresse, dal 2013 tutte commissariate

Il ministro Patroni Griffi: «Una riforma importante non può venir meno solo per resistenze localistiche»

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ROMA – Niente da fare per Benevento, che invocava la «storia del territorio sannita», e nemmeno per Rovigo, che sul piatto metteva la «peculiarità del Polesine». Giorni contati per Treviso, troppo piccola di appena 23 chilometri quadrati, e per Terni, che pur di sopravvivere aveva suggerito il trasloco a qualche Comune dalla vicina Perugia. La nuova cartina delle Province italiane è agli ultimi ritocchi: arriverà con un decreto legge all’esame del primo Consiglio dei ministri di novembre. Una mappa che mette insieme le proposte che stanno arrivando in queste ore dalle Regioni. E che respinge le tante richieste di deroga, applicando senza sconti le regole fissate con la legge sulla spending review : le Province che hanno meno di 350 mila abitanti o un’estensione inferiore ai 2.500 chilometri quadrati dovranno essere accorpate con quelle vicine. Considerando solo le Regioni a Statuto ordinario, le Province scenderanno da 86 a 50, comprese le dieci Città metropolitane. Quelle tagliate saranno trentasei, alle quali bisogna aggiungere un’altra decina di cancellazioni nelle Regioni a statuto speciale, che però hanno sei mesi di tempo per adeguarsi e decideranno loro come farlo. Le uniche che potrebbero essere recuperate sono Sondrio e Belluno. Per il resto palla avanti e pedalare.

I COMMISSARI – «Non possiamo pensare che una riforma importante come questa – dice il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi – possa venir meno solo per delle resistenza localistiche». Anzi. Per mettere al sicuro il risultato ed evitare la tentazione del dietrofront, vedi campagna elettorale e nuovo governo, il decreto prevede un processo a tappe forzate. Dalla fine di giugno del 2013 tutte le Province, anche quelle che non si vedranno toccare i confini, saranno guidate da un commissario. Toccherà a lui curare la transizione verso il nuovo regime. Un’accelerazione non da poco perché la legge sulla spending review lasciava intendere che sarebbero andate a scadenza naturale, mentre nelle Città metropolitane il processo sarebbe dovuto partire all’inizio del 2014. Resta da decidere solo se il commissario sarà esterno, nominato dal prefetto, o se il ruolo verrà affidato al presidente uscente della Provincia.

NUOVE SEDI – Più probabile la seconda ipotesi perché, nei limiti del possibile, si andrà incontro alle richieste del territorio. È il caso della Basilicata. La Regione avrà una sola Provincia ma vorrebbe spostarne la sede a Matera, lasciando invece a Potenza gli uffici regionali. Si può fare. Pronti al confronto anche sugli uffici periferici dello Stato, come le questure o le prefetture. Il decreto dice che ci sarà una «consultazione del governo con il territorio» in modo da spalmare la presenza dello Stato. Per capire: se la nuova Provincia di Modena e Reggio Emilia avrà la sede politica a Modena, la questura o la motorizzazione potrebbero andare invece a Reggio. Cosa succederà ai dipendenti? «Nell’immediato – dice il ministro – non ci sarà una contrazione del personale ma ci potrebbe essere uno spostamento fisico. Naturalmente i criteri di quest’operazione andranno studiati con un esame congiunto insieme ai sindacati».

SISTEMA ELETTORALE – Una modifica riguarderà anche il nuovo sistema elettorale, quel meccanismo di secondo livello con i consiglieri eletti non più dai cittadini ma dai consiglieri comunali sul quale a giorni si pronuncerà la Corte costituzionale. La sostanza non cambierà ma i voti saranno ponderati per evitare che, all’interno dei nuovi consigli provinciali, i Comuni piccoli pesino come quelli grandi. Ci siamo, insomma. «Qualche intoppo può sempre arrivare – dice Patroni Griffi – ma faremo di tutto per superarlo». E non finisce qui. «Bisognerà andare avanti riflettendo sia sulle dimensioni delle Regioni sia sul numero dei Comuni: sono 8 mila, troppi, e la metà ha meno di 5 mila abitanti». Un altro decreto, sulle macro Regioni e le fusioni dei Comuni? «Per carità, tocca a chi ci sarà nella prossima legislatura».