Per alcuni medici ospedalieri potrebbe avere un retrogusto amaro il decreto legge “salva-precari”. Ai commi 5 e 6 dell’articolo 2 si prevede infatti il collocamento a riposo d’ufficio a 65 anni per tutti i dipendenti della Pubblica Amministrazione, un limite “non modificabile dall’elevazione dei requisiti anagrafici per la pensione di vecchiaia”. Ove riguardasse anche i dirigenti Ssn la norma, da subito in vigore, impatterebbe su una materia disciplinata dalla legge 183/2011 che consente al medico dipendente del Ssn di andare in pensione con 40 anni di servizio effettivo. Per conseguire l’anzianità contributiva il medico oggi ha tempo fino ai 70 anni, come ha confermato la recente sentenza 33 della Corte Costituzionale del 6 febbraio. Se invece fosse esteso un limite “ordinamentale” a 65 anni, si profilerebbe un contrasto con la legge 183 e in ultima istanza il rischio di pensionamento “forzato” per alcuni medici che abbiano già maturato i requisiti minimi per la pensione. Di lavoro per gli esperti di qui alla conversione in legge, tra due mesi, ce n’è. Ma Giorgio Cavallero vicesegretario del sindacato Anaao Assomed, mette le mani avanti ravvisando «il pericolo di interpretazioni distorte che mettano in dubbio la validità della legge 183, sulla cui base le aziende sanitarie hanno assunto in questi anni impegni ad personam, impegni che non devono essere disattesi per non creare contenziosi tra medici e PA. Anaao Assomed difenderà fino in fondo la 183, che a sua volta abrogò la “rottamazione” dei medici con 40 anni di anzianità – periodo pre e post laurea inclusi – prevista dalla precedente legge 102/2009».