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Infortunio sul lavoro: sollevamento di paziente obesa

Il fatto
Una dipendente ospedaliera ha proposto ricorso per l’accertamento di postumi permanenti a seguito di infortunio sul lavoro, occorsole dopo avere effettuato un movimento brusco in posizione non congrua per il sollevamento di una paziente obesa.
 
Profili giuridici 
Durante il giudizio di secondo grado è stata disposta nuova Ctu per valutare l’entità del danno subito; il consulente ha evidenziato che la ricorrente ha riportato un trauma distorsivo del rachide lombare, a causa del quale è portatrice di un deficit funzionale apprezzabile e di disturbi radicolari intercorrenti su una pregressa discopatia erniaria lombare. La donna, inoltre, è affetta da incontinenza urinaria da sforzo. Questa patologia è causata da un indebolimento dei mezzi di sostegno e di sospensione della vescica, per cedimento del pavimento pelvico, riduzione della lunghezza funzionale dell’uretra e prolasso uretrale, e può conseguire a interventi chirurgici all’apparato genitale. L’etiopatogenesi di questo quadro patologico è quindi ascrivibile a difetti anatomici, e non può essere messo in correlazione, né causale, né concausale con lo sforzo compiuto in occasione dell’infortunio denunciato. Quest’ultimo, pur configurandosi come un trauma significativo, ha avuto un iter clinico che non è coerente con un’effettiva sofferenza traumatica. Pertanto, la concreta vis lesiva del trauma ha determinato un danno molto limitato, mentre il successivo quadro clinico, trattato chirurgicamente oltre nove mesi dopo l’infortunio, è piuttosto ascrivibile alle preesistenze. L’infortunio ha determinato un danno biologico del 4%, inferiore alla soglia minima del 6% prevista dal D. Lgs 23 febbraio 2000, n. 38, pertanto non dà titolo ad alcuna prestazione