Un produttore di strumenti chirurgici vorrebbe rifarsi sul Servizio sanitario nazionale che non gli paga le forniture da cinque anni con un pignoramento, esattamente come farebbe Equitalia se fosse lui a evadere le tasse? Niente da fare: il Parlamento blocca i pignoramenti nei confronti delle Regioni con la sanità in «rosso»; come del resto avviene da anni, nonostante la denuncia di incostituzionalità presentata dalle aziende del settore biomedico in tutte le sedi, Unione europea compresa.
É l’ennesima mazzata, dunque, sugli imprenditori costretti a chiedere finanziamenti sempre più costosi. «Un danno gravissimo – spiega Stefano Rimondi, presidente di Assobiomedica, – perchè la ricerca per noi è fondamentale, tanto che investiamo il quadruplo della media dell’industria manifatturiera. E continuiamo a farlo: ma potremmo fare molto di più, se non dovessimo sottrarre fondi per far fronte alla mancanza di liquidità. Peccato che noi dobbiamo competere sul mercato internazionale: ma in queste condizioni, come facciamo a confrontarci con i nostri concorrenti tedeschi, per esempio, che vengono pagati dallo Stato nel giro di 15 giorni? Noi, invece, non solo subiamo i ritardi peggiori, e in più ci viene impedito di recuperare i nostri crediti con un provvedimento ingiustificabile, ma siamo anche il bersaglio preferito dei tagli alla sanità». La spesa per dispositivi medici – dalla siringa alla Tac – nel 2013 non dovrà superare, in base alla spending review, il 4,8% del totale della spesa sanitaria: «Oggi è il 5,6%, nel resto d’Europa è il 7% – commenta Rimondi – : è impossibile mantenere la stessa qualità riducendo il prezzo così drasticamente. Cosa succederà? Il servizio sanitario comprerà prodotti di livello inferiore, o taglierà diagnostiche e terapie, a danno dei cittadini».
Se la sanità piange, l’edilizia non ride: un terzo dei fallimenti delle imprese del settore negli ultimi mesi è legato proprio ai ritardi -che nel 70% dei casi sono aumentati rispetto al passato – dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione. Ma prima l’imprenditore tenta il tutto per tutto: uno su due, conferma l’Ance, ha chiesto un anticipo delle fatture in banca e il 18% un finanziamento a breve termine. Poi si comincia, obtorto collo, a rallentare i tempi dei pagamenti ai fornitori e ai subappaltatori, si tagliano gli investimenti e, in un caso su quattro, anche i dipendenti: oppure si ripaga lo Stato con la stessa moneta, rinviando il pagamento delle tasse e dei contributi. Ma in questo caso, è impossibile ottenere la Durc, il documento di regolarità contributiva indispensabile per partecipare agli appalti. D’altronde, un’impresa edilizia su dieci di commesse pubbliche non vuole più saperne: lo Stato è inaffidabile, meglio non averci niente a che fare. E la beffa finale è che molti enti locali le risorse per pagare le avrebbero anche: ma sono ingabbiate dal Patto di stabilità.
Laura Verlicchi
17/10/2012